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Frame

di Alessandro Sanna

dal 21 Maggio al 11 Giugno 2016

a cura di Simone Azzoni

Frame come frammenti di un discorso interrotto, forse nemmeno iniziato, sicuramente sospeso. Frame come immagini tra cornici che, permeabili al pensiero e impermeabili al racconto, sospendono il tempo dentro paesaggi interiori. Frame come tratteggi volati via dagli sfondi stagliati dietro i ritratti del Cinquecento e ora balzati alla necessità di uno sguardo che ne ricucia l’unità perduta. Frame come possibilità di sperimentare la meraviglia di un vedere che rinuncia all’insieme per ridare paternità a figure orfane di narrazione che vagano tra focalizzazioni, punti di vista e traiettorie che ora avvicinano il particolare ora lo disperdono. Frame come dittici, trittici che non dipanano il tempo ma lo raggrumano nella scoperta dell’istante.

Lo spettatore osserva e il tempo s’inarca in un aoristo, tempo della tragedia greca che l’occidente ha perso: il tempo indefinito del passato, capace però di connotare certi accadimenti, certi avvenimenti. Guardiamo Frame nel presente, lì l’azione è un imperfetto perché qualcosa accade. Ma c’è più ricordo, più cartolina della rimembranza che finestra sull’immaginazione. Ed è in questo aoristo che il passato viene ricondotto al presente, riattualizzato nel presente. La memoria non passa, al ricordo non si sfugge. Tutto è lì, aldilà di un attimo che serba memoria del precedente e anticipa il futuro, senza svelarlo. Lo spettatore, osserva, guarda, cerca, scruta invertendo l’ordine di una gerarchia che cogliendo il particolare dimentica fortunatamente l’universale.

Frame è anche un fotogramma, un flash, uno shot, una istantanea liminale, interfaccia tra fantasia e perizia, dissimulazione tecnica e apertura al fantastico che abita la pittura quando in essa converge l’illustrazione. Così Fonderia 20.9 ha riconosciuto in Frame la sostanza stessa dell’inquadratura come scelta di anima. Profonda unità d’intenti che fa del fotografo un pittore e di un illustratore un collezionista di attimi, come direbbe Heinrich Böll. Aldilà dunque, prima e oltre quelle contaminazioni che ci sembrano così artificiose e didattiche se non condividono quello che Roland Barthes diceva dell’immagine: “pur non essendo il Reale ne è quantomeno l’’analogo perfetto poiché porta sempre con sé il suo referente e lo trasmette alla lettera”.